In questi anni, con Star Wars hanno sbagliato tre volte (quattro, a dire il vero, se contiamo anche il dimenticabile Solo: A Star Wars Story). La prima, quando hanno deciso di non creare una trilogia unitaria preferendo creare tre pellicole slegate il quale andamento fosse strettamente legato al sentiment degli spettatori. La seconda, quando Abrams è scivolato su di un tentativo di eccessivo compiacimento dei fan, fallendo in un remake di poco spessore di Episodio IV. La terza, disastrosa, con Gli Ultimi Jedi, una pellicola voluta per cogliere al balzo la reazione della fan base.
E così da casa Disney chiamano Rian Johnson, che scrive e dirige non soltanto un pessimo film indifendibile, ma una pellicola che distrugge e stravolge tutto ciò che era stato Star Wars prima di lui, uccidendo Guerre Stellari e sconfessandone il suo spirito. E qui, giustamente, i fan si incazzano.
Lucasfilm e Disney iniziano a tremare. Hanno capito l’errore. Sono riusciti a indebolire la saga più spettacolare e remunerativa mai creata, un capolavoro che da quarant’anni a questa parte nulla era riuscito a far tentennare, neanche La Minaccia Fantasma. Capiscono di aver sbagliato e non possono che fare una cosa soltanto per rimediare: dimenticare ciò che è stato Gli Ultimi Jedi e richiamare di corsa J. J. Abrams. Non c’è un altro regista e sceneggiatore che possa risollevare l’andamento e il fervore dei fan, o forse Abrams è l’unico ad avere il coraggio di prendere in mano una sfida così complessa. Sta di fatto che proprio lui, anche in virtù degli errori compiuti in Star Wars Il Risveglio della Forza, risulta l’ultima speranza per Star Wars.
Sono queste le premesse con cui è iniziato il suo viaggio in Star Wars: Episodio IX – L’ascesa di Skywalker, una pellicola che doveva fare tanto, forse troppo. A J. J. Abrams non era stato assegnato solamente il compito di ritrovare lo spirito perso di Guerre Stellari. Al regista spettava l’arduo compito di far dimenticare al pubblico ciò che era stato fatto con Rian Johnson. Doveva ricollegarsi alla sua idea iniziale di Star Wars, ai semi piantati in episodio 7, giustificando però tutte le scelte sbagliate di episodio 8. E, infine, doveva mettere fine alla più grande saga cinematografica di sempre. E doveva farlo bene.
Una trama fitta che procede a ritmi serrati
Ecco quindi nascere l’esigenza di un film ricco di elementi, denso, con una storia piena di dettagli e colpi di scena che avanza con grande impeto a ritmi scanditi, senza perdere un colpo. Abrams sa cosa va fatto, ma per giustificarlo deve inventarsi qualche espediente narrativo, sfruttare qualche buona idea di Rian per stravolgerla a suo vantaggio. E così la prima metà del film procede in modo divertito e emozionante alla ricerca dei McGuffin che giustificheranno gli eventi finali e le scelte del regista: forzature dovute, che si percepiscono, ma che non intaccano la sceneggiatura emozionante e ben scritta del capacissimo Abrams. Certo, c’è tanta carne al fuoco da giustificare un film con il doppio del minutaggio, ma la regia precisa e la sceneggiatura chiara aiutano lo spettatore a seguire la storia in modo concitato e leggero, senza che la densità narrativa ostacoli o appesantisca la visione del film. Anzi, ne arricchisce l’esperienza.
E a facilitare il tutto ci pensa la regia spettacolare di Abrams, che ci emoziona con alcuni momenti di vera epicità e stupore. Perché la pellicola ha una comparto visivo di grande potenza, nonché una regia spettacolare e costante.
Con Sidius tornano i personaggi di spessore
Fra tutte, la carta migliore che il regista ha giocato è certamente quella di Palpatine, forse il villain più iconico nella storia della cinematografia, nonché il più riuscito. Grazie al ritorno di Darth Sidius il film sembra acquistare un nuovo vigore, una nuova forza, assieme anche alla tensione e cupezza che ancora, dopo anni dalla sua scomparsa, aleggia attorno al nome di Palpatine. Ma non è soltanto nel suo ritorno che Abrams trova la sua più grande forza: lo è nel perfezionamento di tutti gli altri personaggi, vecchi e nuovi. Perché se l’Ascesa di Skywaker ha un vanto è proprio quello di emozionare nel modo più duro ed efficace possibile: attraverso l’attaccamento ai personaggi.
La furba sceneggiatura sfrutta al massimo il potenziale di ogni personaggio, anche di quello più secondario. Dal nuovo droide D-O alla rinvigorita diade Rey/Kylo Ren, Abrams riesce a farci apprezzare e amare anche il personaggio più bistratto o dal minutaggio più breve. Nonostante il puzzle il cui disegno è stato cambiato in corso d’opera, l’autore trova il modo di rifilare ogni singolo pezzo per incastonarlo in un disegno (quasi) perfetto, costruendo qualcosa dalla grande potenza emozionale. Tutti hanno un posto in Episodio 9, e ogni posto è a suo modo importante.
Un degno finale: ma la saga vive ancora
E in un climax di colpi di scena e apprezzatissime citazioni ai fan old-school, Abrams realizza un finale inaspettato che racchiude in sé il vero sentimento di Star Wars, la sua vera essenza. Nella sua conclusione troviamo la perfetta coniugazione dello spirito e dei valori di Guerre Stellari, ma ne troviamo anche l’epicità, la spettacolarità e l’amarezza, quel sentimento di felicità un po’ cupa, quasi triste. In modo costrutto e pungente nei confronti di Rian, il regista ci dona una pellicola che conclude la saga di Skywalker in modo eccezionale, risvegliando l’amore e la speranza dei fan di vecchia data.
In conclusione
J. J. Abrams da una vera e propria lezione di cinema a Rian Jhonson, facendo risorgere dalle ceneri lo spirito di Star Wars nella sua forma più pura. Perché l’Ascesa di Skywalker è un film che, nonostante le forzature, nonostante i McGuffing e gli occhiolini alla fan base, funziona, funziona dannatamente bene. Episodio 9 diverte, emoziona, riempie gli occhi e il cuore di stupore con immagini visivamente potenti e un ritmo scandito alla perfezione.
L’Ascesa di Skywalker, con tutti i suoi difetti, è a tutti gli effetti un grande Star Wars, di nuovo. E lo è in modo spettacolare.
Che la Forza sia con te, J. J. Abrams.