Eravamo tutti consci, Denis Villeneuve in primis, che riportare al cinema Dune non fosse soltanto un progetto ambizioso, quanto più complesso e ricco di pericoli. L’adattamento di del libro monumentale di Frank Herbert, capostipite della letteratura fantascientifica e del genere in toto, rappresentava già una sfida sufficientemente complessa, ma la presenza della pellicola di David Lynch non poteva che aumentarne il grado di difficoltà. E non per la bellezza stilistica o tecnica, di cui la pellicola di Lynch è pressoché priva, ma per l’acume e genialità che possiede, elementi completamente disattesi.
La sfida che gli si presentava era quella di trasformare in pellicola il capolavoro di Herbert mantenendone, però, la caratteristica psichedelia. E, proprio in questo, Villeneuve ha fallito.
La recensione
Laddove Finch era riuscito a creare un film senza alcun dubbio brutto, non soltanto per l’assenza di estetica, le cui scelte però raggelavano il sangue, stupivano e incuriosivano, rimanendo impresse nella mente dello spettatore per la loro follia, Villeneuve confeziona un film al limite dell’inutile, una pellicola splendida solo se il suo scopo era dimostrarne le già innegabili competenze tecniche e lo stampo estetico sublime del regista.
Giorno dopo giorno, il regista canadese è finito per diventare prigioniero di sé stesso, della propria cifra stilistica e del proprio rigore formale, elementi che hanno reso inconfondibile il suo cinema autoriale ma che anche uniti sono pur sempre insufficienti per realizzare un bel film, uno di quelli indimenticabili, che rimane nella storia del Cinema e, soprattutto, nel cuore e nella mente di chi lo guarda.
La magniloquente bellezza delle immagini, la cura compositiva delle inquadrature e l’ipersaturazione estetica riducono le storie a paesaggi e scene mozzafiato prive di animo e dinamismo. Lo spettatore finisce così per emozionarsi non per quanto accade nel film, ma per come viene mostrato. Un film che rispecchia la società e il gusto attuale e che estremizza la forma a discapito del contenuto.
Il regista ha soverchiato le caratteristiche del Ciclo incastrandole in una stretta e soffocante impostazione estetica rigorosa, al limite del pretenzioso, capace unicamente di dar vita ad ambienti e scenografie curatissime e bellissime che catturano l’attenzione dello spettatore, portato quasi a soprassedere alla vuotezza della storia e alla sua esasperata lunghezza.
Non basta un sonoro assillante, onnipresente e incalzante ad accelerare il ritmo della soporifera narrazione della seconda parte, ma, anzi, questo finisce per straniare e infastidire, non essendo giustificato dagli eventi in scena. Pure Hans Zimmer, forse sotto indicazioni dello stesso regista, forse perché sprovvisto di una storia ben composta da musicare, sbaglia in questo film, appesantendolo e aumentando ancor di più la percezione, reale, della diluizione della trama.
Dune di Villeneuve finisce per essere un film fine a sé stesso, una noiosa opera d’estetica incapace di emozionare lo spettatore, se non per la magnificenza estrema di alcune fotografie e delle spettacolare scelte stilistiche, presenti in ogni inquadratura. È un film che ha la tecnica e la bellezza, ma a cui manca il coraggio e l’anima: uno splendido pacchetto al cui interno si è dimenticato di aggiungere il regalo. Una grande occasione sprecata, non soltanto per il cinema ma per l’intero genere fantascientifico, che ancora una volta perde l’occasione di gustare della genialità dello scrittore, e che risente eccessivamente della divisione in due pellicole. Per quanto, infatti, anche la prima parte del film risulti lento in alcune sue parti, a causa di scelte di scrittura incomprensibili, è proprio la seconda a concretizzarne la noia. Manca il ritmo, e manca la storia che ne giustifichi una tale lunghezza.
Un film certamente bellissimo, un’opera estetica da gustarsi e ammirare, ma al contempo esageratamente lunga, noiosa e incapace di emozionare lo spettatore. Una pellicola troppo tecnica e priva di cuore.
E così, come già era successo in Blade Runner 2049, ciò che Denis Villeneuve tocca si trasforma in piattume, in esempio di competenza tecnica ma vuotezza emozionale. Villeneuve sembra aver quindi perso il senso della genialità e dell’originale, e non possiamo che augurargli di spezzare le catene che lo tengono intrappolato in un rigore esasperato incapace di rendergli giustizia, o di venire accostato da sceneggiatori più coraggiosi che abbiano la forza e il carisma di riuscire a mettere la sua spiccata competenza e bellezza tecnica al servizio di una storia ben scritta e avvincente; esattamente quello che sarebbe servito a Dune.