Ender’s Game potrebbe finire qui, con queste parole, ma c’è molto altro da dire per chi mi vorrà ascoltare.
Ender’s Game
Ciclo di Ender, scritto nel 1985 da Orson Scott Card. Il romanzo di fantascienza riscuote un enorme successo, vincendo diversi premi, per poi venire riportato solo trent’anni dopo sul grande schermo, per colpa e merito dello stesso Card. Ad occuparsi della sceneggiatura e della regia è Gavin Hood che, come vedremo, in queste pellicola non sbaglia un colpo.
Ad aiutarlo, oltre ovviamente allo script di Card, sono due attori che in questa pellicola danno il meglio di sé, ovvero Harrison Ford>, attore che di certo non ha bisogno di presentazioni, e Asa Butterfield, già noto per film come Il bambino con il pigiama a righe e Hugo Cabret, la cui interpretazione trasmette appieno la complessità dei suoi pensieri e della sua complessa lotta interiore e, come riporta mymovies, l’incarnazione perfetta del binomio antinomico di innocente colpevole.
Trama
Ender Wiggins è un promettente dodicenne, selezionato per essere addestrato alla Battle School, l’accademia situata in una stazione orbitante attorno alla Terra dove i ragazzini si sfidano in sofisticati giochi di simulazione per prepararsi alla guerra vera, che potrebbe avere inizio da un momento all’altro. Dopo aver ucciso milioni di terrestri in un primo attacco, infatti, gli Scorpioni sono destinati a tornare e gli umani non possono farsi trovare impreparati. Così la pensa il Colonnello Graff, il quale è altresì sicuro che, sotto la sua apparente fragilità, Ender possegga i requisiti di un vero leader e per questo lo mette a durissima prova, separandolo dalla famiglia e lasciando che l’invidia dei compagni lo isoli ulteriormente.
La Recensione di Ender’s Game
La realtà è che questo film è tutto e il contrario di tutto e, soprattutto, è ciò che non mi è mai piaciuto, ma che mi piace. Prendendo in mano una pellicola basata su uno script di ormai trent’anni fa, ci si chiede come questa non posso presentare una visione delle cose e un gusto del piacere completamente diverso dal nostro. Ender’s game, invece, per quanto tratto da un vecchio young adult, diviene una pellicola dall’indubbia freschezza e attualità, la quale complessità morale è ben più profonda di quanto ci si potrebbe aspettare.
il film è scritto e diretto come un vero e proprio gioco e Hood riesce a farci immergere in una realtà dove siamo costretti a riambientarci ad ogni capitolo. Le continue promozioni di Ender e i continui cambiamenti di ambientazione sono tipiche dei passaggi di livello dei videogame, che in maniera lineare e strutturata portano alla battaglia finale contro il boss.
Come accennato sopra vi è una tematica principale attorno alla quale viene costruita la trama, che emerge proprio dalle parole del Colonnello Graff: “Bisogna che i giudizi morali vengano rimandati a quando questa guerra sarà finita. E vinta!” Ecco allora che i ragazzi non sono più bambini, persone, ma semplici macchine da guerra, meri automi da utilizzare per vincere la battaglia. E questo è un peso che Ender sente gravare su di sé fin dai primi minuti di film. Ender sà di essere nato per una ragione: non per amore dei genitori, quanto per un sistema che forza alla nascita di nuovi super soldati.
Quindi cosa è giusto, cosa è sbagliato? Vivere in queste condizioni per la salvezza dell’umanità è corretto? Attaccare per prevenire un attacco, distruggere un’intera razza per assicurare la propria sopravvivenza è corretto? Temi ben più che complessi rispetto a quelli che ci si aspetta da un semplice romanzo Young Adult.
E infine la tematica dell’addestramento, dell’istruzione, che sembra tanto volersi riferire al sistema di istruzione odierno, che impedisce il corretto sviluppo della creatività dei ragazzi e della loro unicità, a vantaggio di una uniformazione quasi militaresca, volta più alla creazione di operai e esecutori silenziosi, piuttosto che di persone in grado di chiedersi il perché delle cose e di elaborare un pensiero creativo, personale e critico.
Per i nostalgici e meta-cinematografici non mancano poi i riferimenti a pellicole cult come Full Metal Jacket, al quale si ispira per le scene dell’addestramento e per le scene a tematica militare, che tratta si con strutture quasi identiche a quelle di Kubrick, ma stravolgendone completamente la natura, vista la visione più umana e amichevole.
In conclusione
Dopo la visione dei primi minuti del film si è volti a credere di aver già compreso tutta la realtà della pellicola. Si è consci di essere di fronte al tipico protagonista fastidioso, predestinato a compiere una grande azione per poi godere di gloria eterna. E si sbaglia, drasticamente.
La trama, per quanto lineare e diretta, presenta continue stoccate e momenti intensi che spezzano di colpo la linea che si era costruita. Il tempo scorre e si è trascinati in questo vortice di avvenimenti, giochi e sogni, che sembrano preannunciare finalmente lo scontro finale. E lì, quando meno ce lo si aspetta, finisce. Un finale assurdo, incredibile, che ha bisogno di alcuni secondi per essere compreso e digerito. Un finale che ti lascia incredulo e che mette a dura prova anche i più duri di cuore, per le lacrime intense di Ender.
C’è poco da dire, per me ha tutto. Una trama che nella sua semplicità continua a presentare climax e sorprese, per concludere in un finale tanto epico quanto commovente e irreale. Una regia che non sbaglia un solo colpo e che scandisce alla perfezione i tempi della sceneggiatura. Attori capaci che interpretano alla perfezione i loro personaggi, esternandone tutta la complessità e profondità. Ambientazioni incredibili, dal profondo spazio, alla sala dove si svolge Il gioco ai sogni di Ender.
Magari ne facessero di più di film del genere.